L’esposizione del celebre vaso di Gaeta, dopo decenni di oblio

di Lino Sorabella

A due mesi dall’apertura della mostra “Recycling Beauty” presso la sede milanese della Fondazione Prada, solo ieri a livello locale (attraverso un post social dell’associazione I Tesori dell’Arte) è stata diffusa la notizia dell’esposizione del celebre vaso di Gaeta. Dopo decenni di oblio, torna alla luce del sole un manufatto che si lega a pieno titolo con le città di Gaeta e Formia. Fino al 27 febbraio 2023, nell’ambito di un’esposizione sperimentale dedicata al tema del riuso di pezzi di antichità dal medioevo al barocco, fa bella mostra il cratere marmoreo con la scena della consegna del piccolo Dioniso, da parte di Hermes, alla ninfa Nysa (metà I sec. a.C.), firmato dallo scultore ateniese Salpion e riutilizzato come fonte battesimale nella Cattedrale di Gaeta.

La monumentale scultura è inserita in un percorso di oltre cinquanta opere esposte provenienti dal Musée du Louvre di Parigi, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dalla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, dai Capitolini, dai Musei Vaticani e dalla Galleria Borghese di Roma, dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Il cratere di marmo bianco, alto 130 cm., con un diametro della bocca di 99 cm., da decenni in deposito presso il MANN (inv. 6673), doveva trovarsi nel territorio dell’antica Formia e dal Cinquecento, o forse prima, giunge nella cattedrale di Gaeta per essere utilizzato come vasca battesimale all’interno del medievale battistero di San Giovanni in fonte (allocato dove oggi insiste il succorpo del duomo). L’uso antico non si conosce, ma tutta una serie di abrasioni fanno pensare ad un riuso poco consono con l’opera d’are nel corso del medioevo. L’arrivo a Gaeta va certamente retrodatato rispetto alla monumentalizzazione che ne fa il vescovo Pietro de Ogna, quando nel secondo decennio del sec. XVII lo monumentalizza in cattedrale su di un plinto con tanto di epigrafe (esistente ancora all’inizio del secolo scorso), con sopra il gruppo monolite dei quattro leoni affrontati per la groppa, sovrastati dal vaso marmoreo: il cratere pagano prosegue la funzione che già stava svolgendo da qualche secolo, cioè quella di fonte battesimale (fino a qualche decennio prima, unico nell’intera città di Gaeta).

Relativamente al trasferimento da Formia a Gaeta (notizia diffusa da eruditi non locali, a differenza delle invenzioni “minturnesi” successive) non si rintraccia alcuna informazione in merito al vaso negli scritti del frate Giovanni Giocondo (a Gaeta dal 1489 al 1492) e nemmeno nell’epistolario, o altri scritti, del vescovo di Gaeta, Francesco Patrizi (1461 – 1492) profondo umanista e studioso di antichità.

È certo che la fama della fonte battesimale dell’antico battistero di Gaeta doveva aver scavalcato le mura della fortezza e i confini del regno, visto che l’umanista olandese Stephanus Pighius ne parla già in un’opera del 1559 (senza averlo visionato). Solo nel 1575 lo stesso Pighius giungerà a Gaeta accompagnando il principe Carlo, nipote dell’imperatore Massimiliano e potrà ammirare il cratere greco: l’illustrazione autoptica sarà pubblicata tra le mirabilia di Gaeta, insieme con il mausoleo di Planco e la cosiddetta tomba di Cicerone nel 1587.

Il vaso sarà graficizzato molteplici volte a partire dalla seconda metà del Cinquecento; inoltre sarà fonte di ispirazione per altre opere: nel 1631 circa, Nicolas Poussin visita appositamente la cattedrale per visionare il cratere e resta colpito dalla decorazione dionisiaca, qualche tempo dopo, ispirandosi a quelle figure, realizza a Roma degli studi sulla danza di Bacco e altri soggetti dionisiaci.

Il fonte battesimale resterà nella cattedrale di Gaeta fino alla fine del Settecento o ai primissimi anni del secolo successivo per poi essere spostato, per volontà reale, presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. In un primo allestimento verrà abbinato ad un monumentale mosaico circolare proveniente da Pompei con la raffigurazione del trionfo di Bacco.

Con le successive trasformazioni degli allestimenti, il cratere di Salpion finirà a deposito, rendendo molto difficile eventuali contatti con l’opera stessa. Oggi, finalmente, presso la mostra di Milano è possibile ammirare in tutta la sua imponenza la preziosa scultura.

A questo punto la domanda è una: se resta per decenni in deposito, non poteva essere riportato, temporaneamente, o stabilmente, nei luoghi di provenienza?

Oltre a tutta una serie di buoni propositi, nel 2012 l’arcivescovo dell’epoca, Fabio Bernardo D’Onorio, scrisse al ministro per i Beni e le Attività Culturali, Lorenzo Ornaghi, richiedendo la possibilità di un ritorno in Basilica Cattedrale al termine dei lavori di restauro, per essere riutilizzato come fonte battesimale. Ovviamente, tale ipotesi non garantiva la tutela e la conservazione del manufatto a causa dell’uso liturgico, per cui venne dato un diniego.

A seguire anche l’amministrazione comunale, con Sabina Mitrano assessore, provò a chiedere un prestito del vaso di Salpion, progettando una mostra all’interno di alcuni locali senza buone sicurezze in termini di effrazioni e in ambito termo igrometrico!

Ci sono stati nel tempo altri interessamenti in merito, ma … tra il dire e il fare resta sempre tutto appeso alle corde dei finanziamenti e delle regolari modalità che garantiscano una certezza della conservazione del singolo bene culturale. Purtroppo, per il vaso di Salpion, così come per altre opere, o per fantomatici progetti di repliche di sculture provenienti dal territorio del golfo di Gaeta, spesso si fa palcoscenico. Nella realtà servirebbe una sinergia sovra comunale tra gli enti, siano essi di carattere pubblico o privato, religioso o laico: purtroppo questo territorio vive, da tempo immemorabile, di efferati campanilismi e divisioni, tali da non rendere realizzabili progetti semplici, immaginiamoci situazioni più complesse.

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