I Sciusci non sono una tradizione solo di Gaeta

di Daniele E. Iadicicco

Da qualche anno alcuni ragazzi di Formia hanno deciso di riprendere l’antica tradizione dei Sciusci chiamandoli “Sciusci formiani”.

L’accoglienza da parte dei vicini conterranei di Gaeta è quantomeno violenta, addirittura offensiva. Al di la della pochezza in genere del campanilismo occorre studiare, conoscere approfondire prima di affermare o reclamare la paternità di una tradizione. In generale è bene studiare ed approfondire per esprimere un qualsivoglia giudizio. Solo per questa premessa e per i toni usati ho deciso di approfondire per saperne di più. Il primo passo più banale è stato quello di apprendere che molti degli ottuagenari abitanti, soprattutto del Borgo di Castellone (Formia), hanno vividi ricordi di questa tradizione nella loro memoria fanciullesca. Già questo sarebbe bastato per dimostrare che non solo di tradizione gaetana si tratta ma ho voluto fare qualche ricerca in più.

I SCIUSCI sono nulla di più che canti di questua. Popolani, braccianti, agricoltori che a san Silvestro portavano in gruppo una serie di canti popolari in omaggio al “padrone” chiedendo in cambio cibo e vino.

Questa tradizione è assolutamente certificata e studiata da sempre in quasi TUTTE LE REGIONI ITALIANE. Inutile anche citare quali, facilmente e con una veloce ricerca se ne possono trovare in Veneto, in Lombardia, come pure in Sicilia ed addirittura in Sardegna.

Cos’è allora che si vuole assolutamente denunciare come gaetano? La parola “Sciuscio” ? Anche in questo caso è tutto facilmente smentibile, sia a livello geografico sia a livello storico.

Come storia possiamo citare due testi.

Il primo del 1860. Sul giornale “Lo Cuorpo de Napole e lo sebbeto” viene citato a Napoli per Capodanno “no sciuscio”

Dal testo napoletano non si capisce molto in che tono è usato la parola “Sciuscio” e così ci viene in aiuto definitivamente il grandissimo “Giambattista Basile” in “Archivio di letteratura popolare” del 1883 dove si riporta una “Canzonetta abruzzese”. Nel testo si legge documentata nel 1850.

In questo caso non si hanno dubbi sull’uso della parola “sciuscio”. Ciò dimostra peraltro che oltre che a Gaeta, ed a Napoli anche in Abbruzzo per San Silvestro c’era la medesima tradizione chiamata pure Sciuscio.

Quindi il tipo di canto è diffuso in tutta Italia, la parola Sciuscio conosciuta a livello storico anche in altri territori. Cosa rimane di assolutamente gaetano? La diffusione sul territorio oggi?

Occorre smentire anche questo mito. Altri due esempi voglio portare per sfatare questo ultimo lembo di ostile cieco campanilismo.

Gli sciusci sono anche oggi diffusi in diversi paesi e con il medesimo nome.

Il primo paese è Prata Sannita (CE). In questo paese ancora oggi è tradizione per Capodanno portare i Sciusci. Potete leggere da voi sul sito della loro proloco. Sul sito si può leggere :   “Nella notte di S. Silvestro, gruppi di persone percorrono le strade del paese, fino al mattino, e sostano davanti all’uscio delle case intonando in coro, a gran voce, Gliu sciusciu”, un canto tipico pratese, accompagnati dal suono dell’organetto: invitano i padroni di casa ad offrire loro qualcosa, in genere vino, olio, frutta secca, dolci fatti in casa, in cambio di tante benedizioni e auguri di prosperità per il nuovo anno. ”

Il secondo paese è Castel Morrone sempre in provincia di Caserta (si ricorda che anche Gaeta ne ha fatto parte sino al 900). Nel libro “Raccolta rassegna storica dei Comuni” del 2016 si può leggere riguardo a “Santu Serevieste” …

Essere orgogliosi delle proprie tradizioni è una cosa. Arrogarsi il fatto che siano un fenomeno solo di una città, addirittura offendendo le altre è un’altra. Mi sono permesso di fare questo piccolo esercizio storico proprio perché posso vantare di avere scritto e di conoscere la storia Gaetana molto più di molti gaetani stessi, trovando sempre una ricchezza straordinaria ed unica che non ha bisogno di arricchirsi del primato dei sciusci.

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