Itri: la storia del commissario cav. Salvatore de Spagnolis

Alla famiglia De Spagnolis di Itri e precisamente al ramo di Angelantonio de Spagnolis, figlio di Michele, nipote di Francesco Antonio e fratello di Tommaso Antonio sindaco di Itri, appartenne Salvatore de Spagnolis, commissario di polizia all’Avvocata in Napoli e fedelissimo dei Borbone.

Il padre di questi, Angelantonio, fu uomo di vedute liberali. Sulle differenti vedute di padre e figlio de Spagnolis ebbe a scrivere, nelle sue memorie, lo scrittore liberale napoletano Luigi Settembrini:

Avevamo un nostro vicino, a nome don Angelantonio de Spagnolis, un dabbene uomo che parlava sempre latino, ed aveva una serqua di figliuoli tra maschi e femmine; e noi altri si andava da loro, ed essi da noi. Il primo di questi figliuoli, a nome Salvatore, aveva qualche ingegno ed era mio compagno di scuola, e andavamo insieme da un maestro che era dotto, ma pregiava più un fiaschetto di vino che il poema di Virgilio, e ci faceva lezione mezzo addormentato. Dopo la lezione tutti e due ce n’andavamo nel bosco reale, luogo di delizie celebrato in tutta l’Europa, e quivi dove erano più ombrosi i viali e maggiore silenzio, noi passeggiavamo leggendo l’Atala dello Chateaubriand, e quando l’uno era stanco, leggeva l’altro. Oh che libro fu quello per me! io vedevo con la fantasia le vergini foreste dell’America, e quelle donne indiane, e quell’Atala, e quei pappagalli sulle rive del Meschacabi. Poi leggemmo l’Ariosto, e ne imparammo a mente i canti più belli. Intanto facevamo le nostre osservazioni su le cose che ci circondavano; e una volta io vedendo gli alberi tagliati in modo da parere una muraglia verde, avendo la fantasia a le foreste americane, dissi al compagno: “Vedi come l’uomo guasta la natura e crede di correggerla. Io scriverei un libro su questo taglio degli alberi”. “Un libro? vah! e che diresti?” “Che è una tirannide, e che si potano gli uomini e gli alberi al modo stesso.” “Oh, sta zitto, che qui ci può sentire qualcuno.” E seguitammo a leggere l’Ariosto. In mezzo a quegli alberi, a quelle erbe che mandavano mille odori, io mi sentivo rapito come in un altro mondo, e facevo quei castelli che si fanno in quella beata età di quattordici anni. Un giorno mio padre sorridendo mi dice: “So che stai scrivendo un libro”. “Io? no. E su di che potrei scrivere un libro io?” “So che scrivi su certi alberi.” “Oh, lo dissi per dire; ma Salvatore è una spia.” “Spia no, ma più prudente di te che parli di tirannide in un luogo reale dove puoi essere ascoltato”. Salvatore de Spagnolis, disonorando la sua onesta famiglia, fu commessario di polizia, ed ebbe tristo nome al tempo dell’ultimo Borbone. Cominciò la sua arte da allora: io mi allontanai da lui, e fatto giovine non più gli parlai ne lo vidi.

In effetti, sin dalla fanciullezza Salvatore de Spagnolis dimostrò fedeltà verso la casa dei Borbone e il Regno delle Due Sicilie. Cresciuto, avrebbe intrapreso carriera nel corpo di polizia acquisendo il rango di commissario del quartiere Vicaria, ruolo che lo condusse a combattere strenuamente la Camorra e le sue attività criminose e a tratti carbonare in servitù delle prime. Il “tristo nome” cui si riferisce Settembrini è legato proprio ai metodi in uso alla polizia borbonica di quegli anni, che non esitò a ricorrere a misure drastiche, incluso il confino, per reprimere la criminalità organizzata.

Il talento e la devozione verso il proprio sovrano dimostrate in più occasioni dal de Spagnolis furono tali che a questi vennero affidate indagini anche in altre città del regno, tra cui ricordiamo quella condotta a Cosenza (v. Agesilao Milano e la cospirazione antiborbonica del 1856).

Nonostante l’impegno di uomini come il de Spagnolis, le sorti del Regno delle Due Sicilie erano ormai decise. Il 7 settembre del 1860, Garibaldi e i suoi uomini entravano in Napoli. La città era stata preparata a dovere dalla Camorra in combutta con Liborio Romano, il ministro della polizia.

Dalla sera alla mattina, i camorristi si ritrovarono a servire da forza di polizia della città. Il de Spagnolis fu inseguito a sassate per le strade di Napoli, riuscendo a scamparla per miracolo e ritirandosi a Itri, suo paese ancestrale, dove avrebbe seguito l’evolversi degli eventi e contribuito, con i propri mezzi, alla causa borbonica fino alla capitolazione di Gaeta.

Dopo questi eventi si trasferì a Capua. Ad oggi, nel casertano, sopravvive il ramo della famiglia De Spagnolis ivi residente.

Al riguardo del ramo della famiglia de Spagnolis nel casertano, vorrei citare un episodio simpatico che ha visto protagonista il sign. Alfonso de Spagnolis. Nella prima metà del ‘900, Alfonso apprese da racconti di famiglia dell’esistenza di questo ramo e volle recarsi a Caserta di persona per sincerarsene. Una volta lì, gli fu indicata una signorina. Incuriosito, iniziò a seguirla per un po’, finalmente richiamandone l’attenzione: “Mi scusi, come mai mi sta seguendo?”. Dopo l’iniziale imbarazzo, Alfonso poté appurare che la signorina apparteneva ai Vanore-de Spagnolis, come è oggi noto questo ramo della famiglia che, in assenza di eredi maschi, volle comunque preservare il cognome.

Jason R. Forbus

Bibliografia:

Antonio Fiore, Camorra e polizia nella Napoli borbonica (1840-1860), Napoli: Federico II University Press, 2019, pp. 201, 210, 212, 238

Enzo Parabita, Napoli, fine di un Regno Antico 2° edizione, Lecce: Youcanprint, 2014, p. 106

Gigi Di Fiore, La Camorra e le sue Storie, Torino: Utet, 2006

Luigi Settembrini, Ricordanze della mia vita, volume primo, Napoli, 1879 a cura di Francesco De Sanctis

Marisa Conticello de’ Spagnolis, Don Giovanni Camillo e la famiglia de’ Spagnolis di Itri, Itri: Edizioni di Odisseo, 2003

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