Federico Miele, i briganti e la Villa Caposele

di Daniele Elpidio Iadicicco

PREFETTURA DI TERRA DI LAVORO: Il 12 Gennaio 1862 si apre un fascicolo presso il gabinetto del Prefetto dal titolo “Mola, Federico Miele, sospettato di connivenza co’ briganti”

12 gennaio 1862: Il sottoprefetto del Circondario di Gaeta manda un primo telegramma al Prefetto seguito due giorni dopo da una relazione più dettagliata sul caso che si sta aprendo a Mola ( Formia).
Il sospetto, scrive il sottoprefetto, fondato è che ci sia corrispondenza tra il Golfo di Gaeta e Roma (allora città che ospitava il Re Francesco II di Borbone in esilio, ospite del Papa). Dalle indagini risultano esistere dei rapporti tra “qualche tristo abitante ed i briganti dei dintorni”.
Successe così che le diverse forze dell’ordine presenti sul territorio iniziarono a sorvegliare notte e giorno a turno tutte le aree sospette sinché dopo una spiata ” il capitano de’ capitani” s’imbatté in tre briganti che però sfuggirono alla cattura, riuscì ad arrestarne la stessa notte altri due sospetti. La mattina del 12 gennaio invece la Guardia nazionale riusciva ad arrestare tale de Arcangelis di Sperlonga, venditore di latticini. De Arcangelis risultò avere addosso, dopo la perquisizione, un biglietto del brigante De Vellis (pure di Sperlonga) diretto al Sign. Federico Miele di Formia con in dono di una ricotta. I gendarmi insospettiti frugarono ancora il casaro trovandogli una lettera cucina nel didietro della giacca. La lettera era molto compromettente. Il brigante chiedeva contezza del dispiegamento militare di Formia e lo informava che i suoi saluti ( si riferisce al Miele) erano stati graditi al Real Palazzo ( si riferisce al palazzo che ospitava Re Francesco a Roma). Si informava che suo fratello era partito per Cosenza. Era di fatto un messaggio in codice quest’ultimo non avendo il Miele alcun fratello.
Vi erano inoltre altri due messaggi. Uno scritto da uno dei figli di Giovanni Romer (?) di Roma per Miele. L’altro per il Sign. De Vendittis Ambrogio del Borgo di Gaeta. La lettera al Miele conteneva messaggi cifrati. Gli si diceva che non si poteva inviargli i “bastoni di ferro” (forse fucili? ) e che poteva rassicurare gli avventori del suo negozio per il loro pronto arrivo. Il Miele, specifica il sottoprefetto, non possedeva alcun negozio.

A seguito di questi rinvenimenti il Miele veniva arrestato e perquisita l’abitazione del De Vendittis a Gaeta unitamente alla casa del canonico Fantasia, essendo questi in collegamento con la curia romana.
Il sottoprefetto conclude traendo le sue conclusioni. Ossia che i membri della exservitù di Francesco II non facevano che tramare nel Golfo di Gaeta. Miele era considerato il capo di questa fazione. Si pregava il prefetto di rimuovere queste persone, essendo pagate dal governo perché queste non avevano più un reale impiego. Essendo tra l’altro la Villa di Caposele consegnata al Bollo ed al Registro.
Quest’ultimissima frase da il senso a tutto il documento e ci fa finalmente capire di chi stiamo parlando e cosa stava accadendo. Miele ed i suoi accoliti altri non erano che i custodi del Re presso Villa Caposele. Da qui ed anche tramite la curia gli stessi tramavano per la controrivoluzione borbonica che ovviamente non arrivò mai. Sappiamo da questo documento che gli stessi erano ancora pagati dal governo anche se al momento senza mansioni e che la Villa nel 1862 era stata trasferita nelle proprietà del “Bollo e del Registro”.

Di li a qualche tempo il Prefetto invio sua risposta che è ancora più emblematica e riguarda proprio la rimozione del Miele dal suo posto di custode di Villa Caposele. Il Prefetto scrive di indicare a quali uffici della prefettura avessero mandato queste notifiche e questi atti perché al momento della missiva nulla in prefettura risultava agli atti. In definitiva il passaggio della proprietà della Villa a proprietà pubblica dell’ufficio del Bollo e del Registro non risultava al Prefetto. Forse è da qui che la vicenda di questa proprietà, finita alla fine della giostra in mani private, ha avuto inizio.

I documenti sono stati rinvenuti da Daniele Elpidio Iadicicco e Raffaele Capolino presso l’Archivio di Stato di Caserta.

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