di Daniele Elpidio Iadicicco
Questa storia ha inizio a Roma il 9 di gennaio del 1878. In questa giornata conclude la sua vita terrena re Vittorio Emanuele II. Sul letto di morte il suo antagonista politico e rivale, sul piano storico, il Papa Pio IX, gli aveva concesso il perdono concedendogli i sacramenti. Il Papa non poteva mancare al primo precetto cristiano ossia quello del perdono. Il Re ne aveva bisogno dato che sin dal 1860 era stato, assieme alla sua famiglia, oggetto di “scomunica maggiore”.
Vittorio Emanuele II era il Re che aveva spezzato una storia millenaria, quella dello Stato Pontificio ed osato muovere guerra al Papa.
A Gaeta, poche settimane dopo fervono i preparativi per organizzare una messa solenne di esequie per il Re. I zelanti amministratori locali non avevano fatto i conti con l’Arcivescovo d Gaeta, il basiliano Nicola Contieri. Nato a Bari nel 1827 Contieri era stato il primo Abate di Grottaferrata. Nominato da Papa Pio IX nel 1876 Arcivescovo di Gaeta.
Il Sindaco Modesto De Gaudio aveva pregato l’Arcivescovo di presiedere i “funerali” e di farli tenere nel Duomo di Gaeta. Contieri fu irremovibile. Non solo non concedeva il Duomo, non solo non avrebbe celebrato quella messa ma più volte fece chiaramente capire che non si sarebbe proprio dovuta celebrare. Si decise di agire in autonomia. Fu così che la chiesa scelta fu l’Annunziata, tradizionalmente di proprietà del Comune, gestita dalla Congregazione della Carità. Per paura che il Vescovo negasse anche i sacerdoti si chiamò il Canonico Orgera, già Cavaliere della Corona, che si era detto pronto a celebrarla in ogni momento.
Ed ecco che si celebrò a fine gennaio una grande cerimonia funebre in ricordo di re Vittorio Emanuele II. In Chiesa era presente tutta la società civile. Il Comandante del presidio militare con rappresentanti ufficiali dei diversi corpi presenti in città, i rappresentanti del consiglio comunale, tutti i cavalieri della corona d’Italia, il Capitano del Porto con i suoi impiegati, la società operaia, gli alunni delle scuole elementari e di tecnica, il pretore con i subalterni, oltre che una folta schiera di donne “a stretto lutto”. Ancora presenti erano: i consiglieri provinciali, l’Istituto nautico, i membri della Congrega di Carità, patrona della Chiesa. I “funerali” furono solenni, per l’addobbo della chiesa, per la musica ma anche per il “contegno mesto e nobile di tutti gli intervenuti”. Furono presentate corone di fiori al tumulo, di cui una ricchissima da parte della guarnigione militare. Finita la messa l’avvocato Buonomo lesse l’elogio funebre al Re narrando le vittoriose gesta del compianto Sovrano.
Quel che accade dopo ha dell’incredibile. Scrive il sottoprefetto di Gaeta in una lettera al Prefetto di Caserta: “Quando tutto sembrava ben riuscito e dopo quattro giorni, venne in capo all’arcivescovo Contieri di emanare un Decreto d’interdetto contro la Chiesa su enunciata, appendendolo alla porta principale di essa, dandone notificazione al Rettore ed al Patrono Sign. Sindaco di Gaeta.”
Continua il sottoprefetto nel suo racconto al superiore: “Si venne poi a sapere che l’Arcivescovo aveva fatto pervenire al Sindaco una lettera piena di ingiurie e calunnie, offese a tutte le autorità pubbliche per quel che riteneva un’offesa morale”. In tutta l’analisi ed il racconto delle vicende accadute c’è da dire che la narrazione non è affatto equilibrata, come potrebbe essere oggi un carteggio tra autorità pubbliche. Il sottoprefetto cercava in ogni rigo di ossequiare l’operato pubblico, onorando servilmente la memoria del Re, denigrando e calunniando ad ogni lettera di contro l’Arcivescovo.
Quanto stava accadendo era grave. Nel diritto canonico emettere un Interdetto consiste nell’esclusione di una Chiesa dal beneficio dei beni spirituali.
Lo strappo con la comunità civile era al massimo. È vero che l’Annunziata era sotto patrocinio della Congrega della Carità, vero che era di proprietà pubblica ma la massima autorità per l’esercizio della religione rimaneva comunque l’Arcivescovo. Iniziano una serie di incontri, mediazioni, carteggi sempre più isterici per capire il da farsi. Scrivono contro l’Arcivescovo di tutto. Il Sindaco intima alla congregazione di riaprire la Chiesa e stralciare i manifesti posti davanti alle porte della Chiesa. Non riconoscevano su quella Chiesa l’autorità del Vescovo, dicevano che non aveva il Regio consenso e per diversi fattori amministrativi burocratici aveva compiuto un abuso. Si chiese al Contieri di presentarsi presso la pubblica autorità, lui rifiutò inviando una lettera molto piccata e firmandola come Arcivescovo di Gaeta, Barone di Villa S. Vito Fondi e Monticelli. Si arrivò finanche a contestare i titoli personali del Prelato (1) .
Col tempo le cose vennero mediate. Il Vescovo fece addirittura ribenedire i luoghi Sacri (facendo di conseguenza cadere l’interdetto). La vita dell’Arcivescovo non fu più la stessa da allora. Ad ogni suo viaggio, ad ogni suo incontro veniva “attenzionato” dalle autorità. Ogni sua mossa veniva seguita da una informativa di polizia al Prefetto. Era ormai un uomo da tenere sotto controllo, un sovversivo, secondo il Regno d’Italia.
Ovviamente non tutti la vedevano così. Molti giornali conservatori e cattolici scrissero di questa vicenda. Sul Il “Divin Salvatore” periodico settimanale romano, apparve un articolo dal titolo “Città di Satanasso” in cui si critica il nuovo governo e si faceva notare come la libertà e le prerogative della Chiesa non fossero rispettate. Il Vescovo, secondo i canoni della Chiesa, si muoveva per impedire che laici si rivolgessero al Popolo dal pulpito della Chiesa (come di fatto avvenne nella cerimonia) e per quello provvide ad emettere interdetto.
Dopo neanche un mese dalla morte del Re, il 7 febbraio, morì anche Papa Pio IX. Una coincidenza storica incredibile. A quel punto il Vescovo in piena guerra fredda per l’Interdetto celebrò in tutti i modi la memoria di Pio IX. Papa che aveva reso Arcidiocesi Gaeta, che aveva concesso il privilegio del Pallio (2) ai suoi Pastori e che lo aveva nominato Vescovo. Fece affiggere in tutta Gaeta, ed in tutta la diocesi, manifesti a lutto spiegando come quello si che era il vero loro Padre ed un uomo da ricordare. Ordinò messe e preghiere in tutte le Chiese della Diocesi. Anche queste sue mosse ed i manifesti stessi furono inviati per i dovuti controlli al Prefetto.
Grazie a questa mossa, oggi, i manifesti e tutti i carteggi pubblici sono conservati presso l’Archivio di Stato di Caserta.
Nel 1891 durante una celebrazione in Duomo l’Arcivescovo fu colto da un malore che gli provocò una paralisi sul lato destro del corpo. Fu costretto dunque a dimettersi dal suo ruolo. Gli fu concesso il titolo di Arcivescovo titolare di Farsalo nel 1891. Tornò nella sua Grottaferrata dove morì nel 1899 (3).
L’immagine del telegramma ed il manifesto sono riprodotti per gentile concessione dell’Archivio di Stato di Caserta
[CURIOSITA’]
- Per tradizione tutti i Vescovi di Fondi erano Baroni di Villa San Vito. Fu questo un feudo concesso la Pastore di Fondi. Il titolo Barone di Villa San Vito passo, alla soppressione della Diocesi di Fondi, ai Vescovi di Gaeta.
- Il Pallio era stato concesso da Pio IX agli Arcivescovi di Gaeta. Per tradizione il Pallio indica la qualità di pastore. E’ indossato solo dal Papa e dai Vescovi Metropoliti. Il Pallio è stato presente sugli stemmi degli Arcivescovi di Gaeta dal 1848 fino al Vescovo Vincenzo Maria Farano. Quest’ultimo non poté usarlo perché il Papa aveva ritirato bel 1978 tutte le concessioni pregresse mantenendo questo privilegio solo per i Vescovi Metropoliti.
- Nell’atto di morte rinvenuto nell’Archivio di Stato di Roma, città di Grottaferrata, la morte dell’Arcivescovo viene appuntata assolutamente sottotraccia. Viene registrato come Francesco Contieri e non Nicola e viene alla voce professione appellato semplicemente come “religioso”. Semplici dimenticanze o ancora era perseguitato e considerato membro “scomodo” della società?